19 marzo 2007

CUCINA ROMANA: BIGNE' FRITTI DI SAN GIUSEPPE

Come promesso questa sera mi sono cimentato nei miei primi bigne' fritti: debbo ammettere che "tecnicamente" mi sono venuti come mi aspettavo venissero ma non sono rimasto troppo contento della ricetta che ho adottato. Ad esempio nella ricetta non era previsto lo zucchero nell'impasto dei bignè ma io un cucchiaio o due di zucchero a velo, a giochi fatti, posso dire che ce li avrei messi ed avrei lasciato anche la pasta riposare per una mezz'oretta, tanto per renderla più soffice e permetterle di cuocere meglio all'interno dei bignè. Non che siano venuti male, tutt'altro, ma..... esperienza per il futuro

Ecco, invece, la...

RICETTA DEI BIGNE' DI SAN GIUSEPPE SECONDO ADA BONI

Per 80 bignè: 2un bicchiere d'acqua, un etto di burro (o 50 grammi di strutto e 50 di burro, oppure 100 grammi di strutto), cinque cucchiai colmi di farina (150 grammi), quattro uova intere, un pizzico di sale, un cucchiaino di zucchero, la raschiatura di un limone;
Per friggere: strutto (o, in mancanza, Olio d'arachidi);
Per la copertura: Zucchero a velo;
Per il ripieno dei bignè: (all'incirca... 2 tuorli d'uovo, 50 gr. di farina, 70 gr. di zucchero, 1/2 litro di latte e la buccia di 1 limone)

PROCEDIMENTO:
Versate in una piccola casseruola a fondo pesante, l'acqua, un pizzico di sale e il burro a pezzettini e mettetela sul fuoco.



Non appena inizia l'ebollizione versate, in un sol colpo, tutta la farina setacciata. Togliete la casseruola dal fuoco e lavorate energicamente il composto con un cucchiaio di legno fino a quando, dopo averla rimessa sul fuoco, la pasta si staccherà dalle pareti della casseruola, raccogliendosi a palla e facendo un leggero rumore come se friggesse.



Ritirate la casseruola dal fuoco, far raffreddare la paste poi aggiungetevi le uova, 1 per volta, sbattendo vigorosamente, aggiungendo l'uovo seguente soltanto dopo che il precedente sarà stato ben incorporato alla pasta. Lavorarla ancora a lungo, dipendendo da questo la buona riuscita. Quando sarà vellutata e farà bolle aggiungere il cucchiaio di zucchero a velo e la scorzetta di limone grattugiata. Lavorarla ancora un poco e coprire la casseruola con un panno ripiegato in quattro, lasciandola riposare in un luogo fresco una ventina di minuti.



Alla fine la pasta dovrà risultare soffice ma molto consistente. Mettete sul fuoco la padella piena per 3/4 di olio e quando è moderatamente caldo (160 gradi) calatevi le palline di pasta formate con l'aiuto di due cucchiai.



Friggete pochi bignè alla volta perché con il calore si gonfiano molto e quando si saranno gonfiati, fate rialzare la temperatura dell'olio, anche muovendo la padella (o pentolina) in senso rotatorio. Non è necessario girarli, si volteranno da soli quando saranno ben gonfi e dorati da una parte. Lasciateli dorare anche dall'altra parte prima di tirarli su e asciugarli su un doppio foglio di carta da cucina. Prima di friggere il resto dell'impasto, fate nuovamente abbassare la temperatura dell'olio. Quando saranno tutti pronti, rotolateli nello zucchero. Dopo la frittura, i bignè possono essere farciti con crema pasticcera non troppo solida. Per introdurre il ripieno occorre servirsi di una siringa o di una tasca da pasticceria.



16 marzo 2007

LE FESTE ROMANE: SAN GIUSEPPE FRITTELLARO

San Giuseppe è considerato il santo protettore dei poveri, delle famiglie, dei padri di famiglia, di carpentieri, ebanisti, falegnami, artigiani ed operai in genere (essendo stato egli stesso un artigiano); è invocato per una buona morte dei moribondi ed è anche il protettore delle ragazze da marito (in ricordo della sua castità e del fatto che, come vedremo, non ripudiò Maria rimasta incinta durante il fidanzamento) e dei senzatetto (per non aver trovato un posto riparato per far nascere Gesù. Il 19 Marzo si festeggia infatti non tanto il solo Giuseppe quanto la coppia che, in un paese straniero ed in attesa del loro bambino, si vide rifiutata la richiesta di un riparo per il parto, dovendo "ripiegare" in una grotta. Questo atto, fortemente contrario alla sacralità dell'ospitalità, è stato per secoli ricordato, in particolare in Sicilia, con l'allestimento di un banchetto al quale si usava invitare i poveri e gli emarginati. In questa occasione, che come vedremo si sovrappone all'antico festeggiamento dei Saturnalia, un sacerdote benediva la tavola ed i poveri erano serviti dal padrone di casa; in alcuni paesi il banchetto veniva allestito direttamente in chiesa). Giuseppe è inoltre il protettore dei pionieri e degli emigranti (per la fuga in Egitto), ed è anche invocato contro le tentazioni carnali (per la vita casta vissuta accanto alla Madonna) e contro l’usura (infatti i primi Monti di Pietà vennero chiamati Monti di San Giuseppe).
Fin dalla seconda metà dell''800, la festività di San Giuseppe è associata a due caratteristiche particolari, ma che trovano riscontro un po' in tutte le regioni d'Italia: i falò e i dolci fritti.


Il Falò di San Giuseppe


Frittelle di riso


Frittelle all'Uvetta

La celebrazione di San Giuseppe, coincidendo con la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, si è venuta a sovrapporre, soprattutto nell'Italia rurale, ai riti di purificazione agraria (i Lupercalia) di chiara origine pagana: in quest'occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto dei campi, formando cataste che vengono accese nelle piazze. Il rito dei falò era ed è accompagnato, in tutta Italia, dalla preparazione delle zeppole (frittelle) in ricordo, forse, del fatto che San Giuseppe oltre che il falegname, dopo la fuga in Egitto, avrebbe anche fatto il venditore di frittelle, meritandosi così, almeno da parte del popolo romano, l’affettuoso nomignolo di “San Giuseppe frittellaro”. A Roma, infatti, fino alla fine degli anni '50 era tradizionale la preparazione delle "frittelle" e dei "bignè" di San Giuseppe soprattutto nel quartiere Trionfale, dov'è la Basilica Minore di San Giuseppe e dove venivano, di conseguenza, attrezzati decine di banchi con tanto di "calderone" pieno d'olio in cui friggere i dolci.


La Basilica Minore di San Giuseppe al Trionfale

Il grande calderone per le frittelle, fritte in strada



Nel sud Italia, per la ricorrenza, si preparano le "zeppole", mentre nella Tuscia sono caratteristiche le "frittelle di riso"; in verità tutti questi dolci fritti li possiamo ritrovare su tutto il territorio italico, con varianti dovute alle diverse condizioni economiche ed agricole.


Le Zeppole

Il culto di San Giuseppe, padre putativo di Gesù, si è affermato solo all'inizio del Medioevo. Nei Vangeli solo Matteo e Luca parlano di Giuseppe, indicandolo come il promesso sposo di Maria e, come lei, discendente della stirpe di David. Maria e Giuseppe, un artigiano, si sposarono con rito ebraico, che avveniva in due tempi: con il fidanzamento la donna restava nella propria casa, pur passando sotto la potestà del marito; trascorso normalmente un anno si celebravano le nozze ed un corteo accompagnava la sposa alla casa dello sposo, dove si svolgeva il pranzo nuziale. Se nel periodo di fidanzamento nascevano dei figli essi erano considerati legittimi, a meno che non fosse manifesto il tradimento. Giuseppe e Maria si trovavano proprio nel periodo di fidanzamento quando l’Arcangelo Gabriele annunciò alla Vergine il concepimento, per opera dello Spirito Santo. “Maria ne informò Giuseppe suo sposo”, ci racconta Matteo, “ il quale, essendo anche "giusto" non voleva ripudiarla pubblicamente e decise di licenziarla in segreto”. Ma un angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli disse di prendere presso di sé Maria, perché la sua gravidanza era di origine divina e non dovuta ad adulterio. Successivamente al parto non si hanno praticamente più notizie di lui nei Vangeli, se non in un paio di occasioni. Nei "Vangeli apocrifi", cioè non riconosciuti dalla Chiesa come ispirati dal Signore, Giuseppe è indicato come un "vecchio"; Giacomo, addirittura, parla di un "anziano, vedovo con figli", costretto a prendere presso di sé la dodicenne Maria, pratica comune in quei tempi per i vedovi. Risulta quindi fortemente evidente la notevole differenza d’età tra i due sposi e, di conseguenza, quasi giustificato un concepimento divino. Molti teologi hanno confutato l’idea dell’anziano vedovo con figli, affermando che era usanza ebraica del tempo indicare come fratelli anche coloro che fossero solantente parenti stretti. Comunque per secoli San Giuseppe è stato rappresentato come un vecchio dai capelli e dalla barba bianca e soltanto alla fine del medioevo sarà rappresentato come un uomo di mezza età.



Per i fedeli, Giuseppe è diventato il modello del padre e dello sposo per la sua devozione alla Madonna ed al figlio; per la Chiesa è l’esempio dell’uomo ideale, che sa obbedire al volere divino assumendosi responsabilità verso il prossimo rinunciando anche a propri diritti. San Giuseppe, come detto, è festeggiato il 19 marzo, ma l’intero mese gli è dedicato: in pratica, come già per altre festività, la festa religiosa altro non è che la sovrapposizione o lo sviluppo di una festa pagana, quella di Libero un antico dio italico della fecondità (la cui festa si celebrava il 17 marzo). Quel giorno i ragazzi che avevano compiuto i quindici anni, indossavano la toga virile; nell'iconografia Libero era rappresentato con un ragazzo accanto, un po’ come San Giuseppe con Gesù. Nel giorno dedicato a Libero si consumavano focacce, tradizione che, successivamente, molti paesi hanno adottato per il festeggiamento di Giuseppe: infatti ogni regione ha i suoi dolci, generalmente frittelle o simili.
Per quanto tardiva, soprattutto da parte della Chiesa stessa, la devozione popolare al santo è sempre stata notevole. La prima chiesa dedicata a San Giuseppe sembra essere quella di Bologna eretta nel 1130. Nel 1621 i Carmelitani posero l’intero ordine sotto il suo protettorato; l’8 dicembre del 1870 Pio IX° lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando la sua superiorità su tutti gli altri santi, seconda solo a quella della Madonna. A testimonianza di ciò numerose reliquie, sparse in tutto il mondo, sono attribuite a Giuseppe: nel duomo di Perugia si conserva il suo anello nuziale, precedentemente conservato a Chiusi, dove era stato portato da Gerusalemme nell’XI° secolo; a NotreDame, a Parigi, ci sono gli anelli di fidanzamento di Giuseppe e Maria. E così per altri oggetti custoditi ad Aquisgrana, Firenze, Roma, Bologna ed in altre città.
Il quartiere Trionfale di Roma ha da sempre festeggiato con notevole entusiasmo San Giuseppe, un vero e proprio popolano, umile per carattere e per mestiere, con una solenne processione ed una vera e propria sagra delle frittelle e dei bignè. La bontà di questi dolci era celebrata in versi dagli stessi friggitori, che decantavano con orgoglio la qualità delle proprie frittelle. “Non è raro il vedere queste paragonate fino alle stelle del firmamento”, scriveva Belli, “con lodi del frittellaio”, tanto che “di un tal friggitore Gnaccherino ebbesi una volta ad udire di non esservi che un sole in cielo e un Gnaccherino in terra”. Durante tale processione venivano addirittura cantati dei versi scritti dall'attore Checco Durante nel 1950:

San Giuseppe frittellaro
tanto bòno e tanto caro
tu che sei così potente
d'aiuta' la pòra gente
tutti pieni de speranza
te spedìmo quest'istanza”.

Ai quali faceva seguito la richiesta di grazia:

O gran santo benedetto
fa' che ognuno c'abbia un tetto;
la lumaca affortunata
se lo porta sempre appresso
fa' ppe' noi pùro lo stesso.
Fàcce cresce sulla schìna
una camera e cucina”.

Particolari celebrazioni si svolgevano anche presso la barocca chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, presso il Foro Romano, fatta edificare dall'Arciconfraternita dei Falegnami, che divenne poi una delle più importani confraternite di Roma.

La facciata di San Giuseppe dei Falegnami sul Carcere Mamertino

La chiesa sorge proprio sopra l'antico "Carcere Mamertino", fatto erigere da Anco Marzio ed ampliato da Serevio Tullio, il 4° ed il 6° re di Roma; in esso fu rinchiuso San Pietro ed una leggenda narra che il Santo, per poter battezzare due carcerieri che si erano convertiti al Cristianesimo, fece scaturire miracolosamente una sorgente, ancora oggi attiva e visibile. Il carceve venne poi trasformato in oratorio nel IV° secolo prendendo il nome di San Pietro in Carcere. L'Arciconfraternita dei Falegnami venne fondata nel 1539 da una trentina di operai del legno che, per riunirsi in preghiera, pagavano "undici ducati l'anno" al rettore della vicina chiesa di Santa Martina; successivamente acquisirono la chiesa dietro "lo sborso di scudi duecento per una sola volta".

San Giuseppe dei Falegnami e Santa Martina in una stampa del Vasari

A causa dell'aumento dei fedeli e dell'esiguo spazio offerto dall'antica chiesetta nel 1540 gli stessi falegnami edificarono, sulla precedente, una chiesa leggermente più grande e completamente in legno mentre nel 1598 avvenne la posa della prima pietra dell'attuale chiesa di San Giuseppe dei Falegnami (ad opera di Giacomo della Porta e, successivamente, di Giovan Battista Montani). La chiesa, cui si accede da una doppia scalea, presenta una facciata abbastanza semplice, a due piani, mentre l'interno (a navata unica) è ricco di stucchi dorati ed intarsi. Vi si possono ammirare decine di opere e cicli pittorici tra cui spicca il dolcissimo "Presepio", di Carlo Maratta, uno dei maggiori pittori del '600 italiano (anche se poco "sponsorizzato" e conosciuto)

Il "Presepio" di Carlo Maratta

Altri capolavori ammirabili nella chiesa sono il coro ligneo ed il "Crocifisso di Campo Vaccino", opera del XV° secolo precedentemente esposta sulla facciata del Carcere Mamertino ed ora conservato nei sotterranei della chiesa.



Il 19 marzo la Confraternita organizzava i festeggiamenti, invitando i rappresentanti delle altre associazioni artigiane per pregare e banchettare.

RICETTA DEI BIGNE' DI SAN GIUSEPPE

Per fare i bignè:
200
gr. di farina; 4 uova; 100 gr. di burro; 1 pizzico di sale, 1 cucchiaio di zucchero a velo;
Per friggere: Olio d'arachidi
Per la copertura: Zucchero a velo
Per il ripieno dei bignè: (all'incirca... 2 tuorli d'uovo, 50 gr. di farina, 70 gr. di zucchero, 1/2 litro di latte e la buccia di 1 limone)

Versate 30 cl. d'acqua in una piccola casseruola a fondo pesante, unitevi un pizzico di sale e il burro a pezzettini e mettetela sul fuoco.



Non appena inizia l'ebollizione versate, in un sol colpo, tutta la farina setacciata ed il cucchiaio di zucchero a velo. Mantenendo la casseruola sul fuoco moderato, lavorate energicamente il composto con un cucchiaio di legno fino a quando la pasta si staccherà dalle pareti della casseruola, raccogliendosi a palla e facendo un leggero rumore come se friggesse.



Ritirate la casseruola dal fuoco e aggiungetevi le uova, 1 per volta, sbattendo vigorosamente, aggiungendo l'uovo seguente soltanto dopo che il precedente sarà stato ben incorporato alla pasta (potete eseguire questa operazione con un cucchiaio di legno o con l'impastatrice a gancio).



Alla fine la pasta dovrà risultare soffice ma molto consistente. Per rendere l'impasto più soffice si può anche lasciarlo riposare un'oretta. Mettete sul fuoco la padella piena per 3/4 di olio e quando è moderatamente caldo (160 gradi) calatevi delle palline di pasta formate con l'aiuto di due cucchiai.



Friggete pochi bignè alla volta perché con il calore si gonfiano molto e quando si saranno gonfiati, fate rialzare la temperatura dell'olio. Non è necessario girarli, si volteranno da soli quando saranno ben gonfi e dorati da una parte. Lasciateli dorare anche dall'altra parte prima di tirarli su e asciugarli su un doppio foglio di carta da cucina. Prima di friggere il resto dell'impasto, fate nuovamente abbassare la temperatura dell'olio. Quando saranno tutti pronti, rotolateli nello zucchero. Dopo la frittura, i bignè possono essere farciti con crema pasticcera non troppo solida. Per introdurre il ripieno occorre servirsi di una siringa o di una tasca da pasticceria.




Fonti:


San Giuseppe un uomo per bene, di Antonia Bonomi -

Cucina Romana

Chiese Romane, di Publio Parsi - Edizioni Liber

09 marzo 2007

ROMA CURIOSA: SANTA PASSERA ALLA MAGLIANA

Vi voglio parlare ora di una piccola chiesetta, seminascosta dalla pista ciclabile e dagli alberi di Via della Magliana nuova, che si affaccia sul Tevere: Santa Passera.



Questa chiesa, tanto piccola quanto importante, è caratterizzata dai tre elementi architettonici sovrapposti (tutti interamente affrescati): la chiesa superiore (del XIII° secolo, a navata unica e con piccolo apparato campanario), la chiesa inferiore (da un oratorio del V° secolo) ed una cripta ipogea (da un antico sepolcro romano, probabilmente databile al II° o III° secolo d.C.).



Purtroppo gli affreschi, in ogni livello della piccola chiesetta, sono gravemente malridotti a causa dell'incuria e di alcune piene del fiume che, nel corso dei secoli, l'hanno danneggiata.
La chiesa che, come detto, si affaccia direttamente sul Tevere, ha una facciata il mattoni rossi ed è caratterizzata da una piccola terrazza rettangolare mentre si accede al portale d'ingresso da una doppia rampa di scale simmetriche.



La "chiesa superiore" è caratterizzata da un presbiterio ad abside semicircolare, incorniciato da un arco e dal soffitto a travature lignee.





Gli affreschi dell'abside (datati al XIII° secolo), pur se in pessime condizioni, raffigurano un Cristo benedicente contornato dai santi Paolo, Pietro, Giovanni Evangelista e Giovanni Battista; nella curva absidale abbiamo un affresco con raffigurato Cristo tra i santi Ciro e Giovanni



ed un pannello con la Vergine ed il Bambino affiancati dall'Arcangelo Michele e dai santi Giacomo ed Antonio da Padova; nella parete sinistra della navata sono due pannelli: uno rappresentante cinque santi orientali ed uno con figure a carattere devozionale. L'arco è decorato con un "Agnus Dei" e con quello che resta dei simboli dei quattro evangelisti: l'aquila di San Giovanni, il volto umano di San Matteo, il leone di San Marco ed il vitello di Luca, tutti alati e con un libro aperto.
La "chiesa inferiore" che, come detto, sorge su un oratorio del V° secolo, è costituita da un'aula quadrangolare (i cui affreschi rappresentano tre vescovi, i cui nomi sono evocati da un'epigrafe sull'architrave) e da una stanzetta rettangolare più piccola, da cui si accede alla "cripta ipogea" tramite una stretta scala: la cripta è ricavata da un sepolcreto romano ed in essa sono ancora intuibili, sulla parete di fondo, affreschi rappresentanti una figura umana con una stadera (probabilmente la Giustizia), un atleta (forse un pugilatore) e figure funerarie risalenti al III° secolo, mentre sulla volta è raffigurato un cielo con stelle ad otto punte. Vi era anche dipinta una Vergine con bambino, San Ciro e San Giovanni, rubata nel 1968. Vi era, inoltre, anche un affresco raffigurante Santa Prassede, alla quale per un certo periodo la chiesetta è stata dedicata.
In effetti il caratteristico nome della chiesa, dedicata ai santi Ciro e Giovanni, due martiri uccisi in Egitto durante la persecuzione di Diocleziano, è dovuto ad una storpiatura linguistica: infatti sembra derivare dalle parole "Abba Cyrus" (Padre Ciro), deformate poi in "Abbacìro" - "Appacìro" - "Appacèro" - "Pacèro" - "Pàcera" - "Passera".
La tradizione narra che i corpi dei martiri Ciro e Giovanni (un medico di Alessandria ed un soldato, suo discepolo) siano stati sepolti soto la cripta ipogea dopo essere stati decapitati in Egitto nel 303. In particolare i due corpi sembra fossero stati trasportati da San Cirillo, Patriarca di Alessandria, a Menouthis, dove sorse un importante santuario loro dedicato; durante il pontificato di Innocenzo III° (XI° secolo) due monaci, spinti da un sogno premonitore, per paura di un'imminente invasione Saracena trasportarono i due corpi a Roma e, sotto indicazione di una ricca vedova, Teodora, li seppellirono in un fondo di suo possesso, lungo le rive del Tevere, fondo in cui aveva fatto edificare una piccola cappella, che poi divenne la chiesa di Santa Passera.
L'esterno della chiesetta è non meno gradevole e sembra avvolgere il visitatore in un'atmosfera che non ha nulla a che vedere con il traffico caotico di Via della Magliana, che è a soli 10 metri.